La fantascienza da sempre si è approcciata con grande interesse al problema della coscienza artificiale
dando vita a visioni impossibili sul futuro, a narrazioni emblematiche di un tempo autocratico o non
realistico, attivato da “what if”, mettendo in campo uno sforzo in cui le visioni posseggono dei confini
incerti. Gli autori di fantascienza hanno riportato la loro personale interpretazione e l’impossibile
soluzione di un “problema sinora mai risolto, né dai filosofi della mente, né dagli ingegneri dell’IA,
né dai neuroscienziati” 1 . In questo contesto si pone come film di cult “Blade Runner”. «Ho visto cose
che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo di Orione, e ho
visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno
perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia». 2 Questa famosa frase venne pronunciata dal
replicante Roy Batty, nel film Blade Runner del 1982. A distanza di più di trent’anni dall’uscita del
film, nelle sale cinematografiche viene conservata ancora una sua memoria nella storia del cinema e
dell’immaginario comune. “Ho visto cose…” diventa un vero e proprio incipit idiomatico, sempre
attuale 3 . La luce del futuro in questo film emerge prepotentemente, con un’atmosfera dai toni
futuristici, nel racconto di una realtà urbana dalle sfumature neo-noir. Una chiara espressione in un
genere in cui l’hi-tech assiste al collasso della società. Un genere nato dai libri di Philip K. Dick, che
affronta un’accurata analisi dell’umanità e mette in discussione il significato dell’essere umano in
mondi eccezionalmente ambiziosi, terreni oppure fantastici. A un certo punto la sterilità dei robot
diventa paradigma per Rachel, la donna robot, quell’intelligenza artificiale che Dick utilizza per i suoi
sordidi amplessi con Dekart come essere cosa – non – vivente. L’elemento che accomuna molte opere
letterarie o cinematografiche ispirate alla fantascienza è la visione di robot che hanno in comune il
desiderio di provare emozioni come gli uomini, di assoggettarsi al giogo dell’umano e di diventare
liberi dalla schiavitù. Lo fanno i replicanti sempre nel film “Blade Runner” quando smettono di
esistere, perché nati con una scadenza e ciò lo racconta con toni toccanti e intensi anche il film “Her” 4
di Spike Jonze del 2014. La chiave di volta nella storia di quest’ultima opera è il racconto di
un’intelligenza, un’IA dotata di coscienza, che viene messa in commercio per l’utenza generica in un
contesto futuro non molto lontano, nel quale i sistemi di cloud computing e le forme ANI occupano
ogni angolo della società. Il protagonista, Theodore, decide di installare la nuova IA sul suo computer
e gli vengono poste tre domande: “Sei socievole o asociale?”, “Desideri una voce maschile o
femminile per il tuo sistema?” e “Come è il rapporto con tua madre?”. Sin da subito Theodore incarna
l’immagine di quella solitudine che già Georg Simmel (1900) aveva fatto trasparire nella sua
narrazione de “La metropoli e la vita dello spirito”, in cui tutti avvertono il bisogno che qualcuno li
ascolti. Il sistema operativo Samantha, ideato sommando profili di milioni di programmatori che
l’hanno costruita, dimostra la sua capacità di evolversi, di apprendere dagli avvenimenti, dalle
situazioni, dall’esperienza e servendosi di una caratteristica tipicamente umana: l’intuito. “Her” può
1 Giovannoli, 2015 https://xho.medium.com/lumano-nell-epoca-della-sua-riproducibilit%C3%A0-
tecnica-l-inconscio-artificiale-nella-fantascienza-3f85551373d6
2 L.Scott, Blade Runner 1982 https://youtu.be/KFq1d6qCyjg?feature=shared
3 https://www.iguzzini.com/it/lighthinking/la-luce-del-futuro-e-gia-qui/
4 S.Jonze, Her, 2014
essere letto come un percorso filosofico che si sviluppa sul rapporto con la conoscenza e il
superamento del limite umano, da sempre bagaglio della filosofia della trascendenza. La tecnologia
persegue due percorsi complementari: da un lato la potenza di calcolo e la possibilità di superare i
limiti spaziali e temporali, dall’altro il riconoscimento dell’amare e la capacità di riconoscere la
finitezza dell’uomo su un numero infinito di pari in un tempo e in uno spazio infiniti. Ed è su questa
infinitezza, su questo scarto, che le strade delle due specie di separano.